Parole d’amore sciupate
Oggi è un giorno un pò così, il lavoro preme, il temp è poco, allora mi affido al copia/incolla. Leggere questo editoriale de Il Foglio, mi è proprio piaciuto e lo copio.
Benedetto XVI cerca di restaurare il significato di un oggetto smarrito
Il Papa ha scritto un’enciclica sull’amore e sulla carità, che ha presentato ieri con un discorso breve e apollineo, perfettamente proporzionato. Se ne trae conferma di un vecchio sospetto di questo giornale, che la chiesa cattolica sia l’ultima istituzione a conoscere e difendere l’eros “per la nostra esistenza e per il nostro tempo”. Contro l’eros stanno i preservativi, i facilismi coatti dell’amore “sciupato”, il divorzio, l’aborto, il disprezzo per la famiglia intesa come luogo della paternità e della maternità, l’artificialismo tecnoscientifico, e altri sciatti o frivoli ammennicoli della società dei diritti intesi come desiderio, pulsione, abitudine, modo d’uso e mero valore di scambio della corporalità, pochade. Diritti che ormai sono cultura del moderno, fanno inestricabilmente parte della nostra riduzione ironica allo stato laicale e secolare, ci imbragano nel nostro a volte anche felice e sapido naturalismo. Scopo, dunque sono. Da questa condizione di animali schiacciati sulla terra e disabituati a guardare il cielo, agnostici e scristianizzati, non ci tirerà fuori, posto che ne sentiamo il bisogno, il riferimento dolce, paterno, pastorale di un pontefice romano a Dante e Aristotele, alla continuità fra storia della ragione e emergenza della fede nell’incarnazione, alla sorellanza di eros e agape, di amor sacro e profano, alla fede in Dio e alla sequela di Cristo come criterio di vita, luce che avvalora e implica comunità e carità. Il Papa lo sa, e dice che teme egli stesso di ritirare fuori, per raccontarne di nuovo il senso primordiale, questa parola, amore, sciupata e abusata. Ma i più avvertiti e inquieti tra noi, cioè i moderni e postmoderni senza l’anello al naso, libertini non primitivi ancora capaci di domandarsi che cosa ci sia mai nella vita e oltre la vita, dovrebbero riflettere su questa madornale inversione delle parti. I cattolici discutono di peccato e santità, di energia e lucore dell’eros come cura dell’esistenza e rinvio a quell’altro di cui ogni uomo e donna hanno una suprema nostalgia; noi, emancipati dalla disciplina divina della fede in un Dio che ci ama, riduciamo il principio del piacere, in tutta la sua urgenza e legittimità, a dovere sociale diffuso, a modello di comportamento eguale e santificato dalla norma positiva, a psicologia della sessualità di fatto. I cattolici restaurano l’amore come possono, con le parole di una fede e di una cultura piuttosto robuste, noi facciamo l’amore. Come i coleotteri.
Benedetto XVI cerca di restaurare il significato di un oggetto smarrito
Il Papa ha scritto un’enciclica sull’amore e sulla carità, che ha presentato ieri con un discorso breve e apollineo, perfettamente proporzionato. Se ne trae conferma di un vecchio sospetto di questo giornale, che la chiesa cattolica sia l’ultima istituzione a conoscere e difendere l’eros “per la nostra esistenza e per il nostro tempo”. Contro l’eros stanno i preservativi, i facilismi coatti dell’amore “sciupato”, il divorzio, l’aborto, il disprezzo per la famiglia intesa come luogo della paternità e della maternità, l’artificialismo tecnoscientifico, e altri sciatti o frivoli ammennicoli della società dei diritti intesi come desiderio, pulsione, abitudine, modo d’uso e mero valore di scambio della corporalità, pochade. Diritti che ormai sono cultura del moderno, fanno inestricabilmente parte della nostra riduzione ironica allo stato laicale e secolare, ci imbragano nel nostro a volte anche felice e sapido naturalismo. Scopo, dunque sono. Da questa condizione di animali schiacciati sulla terra e disabituati a guardare il cielo, agnostici e scristianizzati, non ci tirerà fuori, posto che ne sentiamo il bisogno, il riferimento dolce, paterno, pastorale di un pontefice romano a Dante e Aristotele, alla continuità fra storia della ragione e emergenza della fede nell’incarnazione, alla sorellanza di eros e agape, di amor sacro e profano, alla fede in Dio e alla sequela di Cristo come criterio di vita, luce che avvalora e implica comunità e carità. Il Papa lo sa, e dice che teme egli stesso di ritirare fuori, per raccontarne di nuovo il senso primordiale, questa parola, amore, sciupata e abusata. Ma i più avvertiti e inquieti tra noi, cioè i moderni e postmoderni senza l’anello al naso, libertini non primitivi ancora capaci di domandarsi che cosa ci sia mai nella vita e oltre la vita, dovrebbero riflettere su questa madornale inversione delle parti. I cattolici discutono di peccato e santità, di energia e lucore dell’eros come cura dell’esistenza e rinvio a quell’altro di cui ogni uomo e donna hanno una suprema nostalgia; noi, emancipati dalla disciplina divina della fede in un Dio che ci ama, riduciamo il principio del piacere, in tutta la sua urgenza e legittimità, a dovere sociale diffuso, a modello di comportamento eguale e santificato dalla norma positiva, a psicologia della sessualità di fatto. I cattolici restaurano l’amore come possono, con le parole di una fede e di una cultura piuttosto robuste, noi facciamo l’amore. Come i coleotteri.
Da Il Foglio del 24/01/06
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